Editoriale di Andrea Aufieri (Pagina Fb di XNews, 19 dicembre 2011)
Una nuova cultura, quella che sul numero zero di XNews auspicavamo e alla quale vorremmo contribuire. E ci abbiamo provato proprio il 13 dicembre, parlando all’università di diritti umani, così vicini alla nostra tradizione eppure così lontani perché quotidianamente offesi, proprio lo stesso giorno in cui la comunità senegalese veniva colpita a morte a Firenze da un militante dell’associazione neofascista Casa Pound.
La dignità umana è la sostanza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essa è riconosciuta a tutti e tutti devono provare a metterla in pratica vivendo in spirito di fratellanza. E con questa idea in testa anche io ho partecipato al corteo antirazzista per le strade di Lecce. Con questa idea e con qualche altro pensiero: tutti i cittadini sanno che uccidere è un gesto criminale, che molti definirebbero fuori dalla società civile. Non è così: è che alleviamo continuamente i germi della violenza, e lo facciamo non solo innaffiando le associazioni portatrici di concetti violenti, ma anche contrapponendoci a esse in maniera similmente violenta, perché poi è così che è andata. O,almeno, per l’ennesima volta è così che i giornali si sono divertiti a minimizzare, a ridurre a macchiette i quesiti importanti che invece lo svolgimento della manifestazione ha posto.
La gimkana cui costringe la legge sui cortei del 2009, per la quale non si può passare davanti a “obiettivi sensibili” tra cui le chiese per intenderci, e sappiamo qual è la densità di chiese nel centro storico, si aggiungeva anche l’ingombro degli allestimenti natalizi. Questi fattori emarginavano il corteo, ma non hanno impedito la riuscita di una delle manifestazioni più partecipate degli ultimi anni.
Penso ancora che, per indole, non mi piace tanto l’idea di partecipare a una manifestazione antiqualcosa. Semplicemente mi piacerebbe proporre, lasciando fermo e inusitato il razzismo, non l’antirazzismo, ma un modello sostenibile di alterità, di cui l’anitrazzismo è solo un’irradiazione minore. E all’integrazione preferirei, sempre come emanazione dell’alterità, l’interazione. Che è interazione tra le culture, e dunque intercultura. Non credo siamo di fronte a concetti inspiegabili e impossibili. Anzi, nei fatti (da Rosarno a Brescia, da Sud a Nord, per tutta l’Italia, passando per Foggia e Nardò) i migranti stessi ci stanno pian piano dimostrando che la realtà è molto più avanti, e che siamo noi a restare indietro.
Ma l’antirazzismo è un minimo comun denominatore, come lo era l’antifascismo. Cosa anima il mio antirazzismo, l’ho appena scritto: egualgianza, dignità, esperienza dell’altro. Sarà possibile far crescere tutto questo se ogni volta si deve andare in piazza per ricordare i minimi comuni valori? E cosa anima, questo è il punto, l’antirazzismo di chi era in piazza ieri? Perché ho anche ascoltato le impressioni di chi diceva di disprezzare proprio la democrazia. E chi dice invece di essere democratico, ma che evirerebbe volentieri i fascisti.
L’anno scorso scrissi un pezzo su Casa Pound e la sinistra, in cui auspicavo che la società civile fagocitasse l’ignoranza grazie a un’azione attiva e di esempio e non esacerbando le contrapposizioni. Perché poi succede che all’indignazione non segue un lavoro culturale concreto di presenza sul territorio, da sinistra, e si avverano invece i desideri di chi non parla punto, a destra. A un anno di distanza un iscritto a quell’associazione compie un gesto che da solo basterebbe a evidenziare i presupposti dell’azione deviante di Casa Pound e che le manifestazioni nazionali seguite all’evento hanno fatto capire quanto sia isolato. La stessa Casa Pound sa che la sua azione sarà danneggiata da exploit di questo tipo, e in una sorta di operazione di re-branding si è profusa in comunicati sulla questione. Ma tornando a Lecce, la partecipazione del consigliere di centrodestra forse più coinvolto con i neofascisti, Roberto Martella, ha alimentato la protesta, soprattutto ma non solo giovanile, giustificate col senno di poi anche dalle dichiarazioni successive del consigliere, nelle quali non c’è nemmeno un cenno di condanna dell’accaduto a Firenze, e questo avvalora l’ipotesi della sua presenza come una provocazione. Ma a tutto c’è un limite. Ho sentito ragazzi autoctoni urlare:”Vai via, fascista di merda!” e parte dei senegalesi ricordare, non senza tensione, che la manifestazione era pacifista.
Una risposta, provocatoria anch’essa, ma decisamente più intelligente, è arrivata dallo Sportello dei diritti di Giovanni d’Agata, che chiede una dimostrazione di buona fede al consigliere, che si risolva nel cambiare il nome della via in cui risiede (scherzo della sorte?), da via Predappio a via Samb Modou e Diop Mor, i nomi dei senegalesi uccisi.
Ma, soprattutto, tra i molti intransigenti del movimento antirazzista, organizzatore dell’evento, ho colto con sospirato piacere anche le posizioni di altri giovani,solo senegalesi stavolta. Può darsi, pensavano, che quella del consigliere fosse una provocazione, ma se noi siamo più forti è perché permettiamo a gente come lui, se ha una coscienza, di manifestare contro il razzismo. E visto che rappresenta un’istituzione, questo significa che tale istituzione è con noi. Il senso di questo editoriale accompagna queste parole. Poi si può dire che il pensiero è semplicistico, che l’istituzione è con loro, ma a parole, mentre nei fatti si comporta diversamente. Ma questo è un problema di opportunismo e, in sostanza, di cultura. Il nocciolo è che non si risponde alla barbarie con la barbarie.Se questa sinistra leccese lo capisse forse smetterebbe di restare sempre all’angolo, con i giornali che seguitano a dire ai cittadini di tornare a dormire, ché era cosuccia insignificante.
Se i cittadini volessero fare un piccolo sforzo magari questo accanito russare s’assottiglierebbe.
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