Dai primi giorni di marzo questa è l’esclamazione di cui ho più abusato.
Agire scandire i ritmi stordirsi l’inconscio come neanche Hunter S.Thompson in uno qualsiasi dei suoi reportage. ma senza lo stesso talento. o forse no, dàje, che la depressione dipende da come la vedi in questa storia.
E dàje, come la vedi?
Tra certi profumi passati, alcuni nuovi olezzi, le lanugini in penombra e colombi poco pasquali.
Il nuovo che avanza, mai il nuovismo. Fragilità che rischiano di saltare nella lentezza dell’elevatore.
E allora il sorriso che diviene routine.
E dàje!
A ‘sta tesi che non si moriva (muoriti tesi, dàje!), al corpo immobile per il piede infermo, al silenzio astioso di ogni cosa. Al capolinea multimediale del pc, alla linea d’orizzonte sfocata.
Sfòrzati, sii buono mondo, e dàje!
E ai download, ai manuali umani per le lavatrici, le lampade saputelle.
I peli, qui ne è pieno.
Poi rifletti, con una canzone imposta, se è vero che bisogna esser convinti che tutto sia marcio per essere gaudenti. La porta della depressione dipende dalla risposta a questa domanda.
Ma l’autobus, intanto, non passa, Čechov gioca alla frocia isterica dalle sue letture pre-Sachalin e intanto i tuoni, quelli, hanno sempre ragione.
E dàje!
En disséquant ton coeur, madame Bovary, au bout de la nuit…
Prendi e fuggi, se no muto.
Sì, muto, e dàje!
Che l’acqua non bolle il gas è lento e lei annega, inesorabile negli abissi del cuore, prima ancora che la cenere tocchi il pavimento e il suo impercettibile impatto vada a titillare il Caos sovrano.
Muoversi, muoversi, muoversi. Da fermi, le sudate carte…
Bellissimo, scava nella pelle!
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Bellissimo, mi hai scavato la pelle!
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…che bel pezzo And…
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