Chissà se la generazione che segue la mia si costruirà un racconto di quello che è accaduto a Brindisi un sabato di fine anno scolastico del 2012. Quello che appare sicuro è che per diverso tempo tutti gli attori del sistema scolastico, al di là di ogni buona intenzione, delle maniferstazioni e della solidarietà, proveranno un senso di paura nel circolare intorno alle scuole.
Per un momento, spero breve, la scuola, il simbolo verso cui si concentra ogni giorno una quantità immensa di energia, positiva e non, ogni frustrazione e ogni vitalità delle persone compartecipi di una crescita collettiva, risentirà della puzza generata dal gas di tre bombe e il vento pesante del terrore vi aleggerà, vincendo di nuovo. Per un breve momento, spero.
Alle mani che con odio hanno costruito uno strumento di morte, alle teste contaminate da un odio, lucido o no comunque spietato, risponderanno mani adolescenti, più consapevoli della loro essenza? È possibile, nel 2012, sperare ancora in un sentimento collettivo, non di classe, superate per i più aggiornati le ideologie, ma di condizione? Oppure questa generazione resterà ancora più isolata camminando sul filo della paura? E come reagiranno a freddo, se quello che è accaduto può significare qualcosa?
Non mi sembra retorico immaginare una desolazione più vasta di quella che il mercato ha contribuito a comporre, intorno a loro in modo particolare.
Dalla politica il monito alla coesione, che ovviamente nasconde l’implicito messaggio a lasciare che il momento attuale passi facendo le vittime che deve, e che lo si accetti stringendo i denti.
Dai media una disgustosa prova d’inefficienza culturale.
La transizione postmoderna non sembra aver lasciato alcun punto di riferimento, che non sia un social network, dove già chi da tempo non è più adolescente viene preso da attacchi di entusiasmo diarroico, o peggio un qualsiasi oggetto del desiderio acquistabile a qualsiasi costo.
E nella tabula rasa di tutto ciò che è cultura nulla smuove un nuovo sentimento solidale realmente costruttivo.
Nel migliore dei casi ci si rivolge allora, alle allodole erronee del buon senso: pensieri forti sfociano solo nei fanatismi, il pensiero debole, in una vile versione larvale, si diffonde come un contagio, l’esperienza si assottiglia e ammutolisce.
Alla precarietà di tutte le condizioni potrebbero rispondere gli insegnanti e le figure genitoriali, ma è a loro, in particolare, che il mercato e i suoi agenti, funzionari di governo o presbiteri che siano, muovono guerra esautorandone non l’autorità, ché potrei essere frainteso, ma la prossimità.
Questi i pensieri e le domande che mi accompagnano da sabato mattina: a Brindisi, al di là di qualsiasi altra cosa, c’è stato un attacco al cuore dell’adolescenza.
Non il primo, né isolato o casuale tentativo di una strategia finora tristemente vincente: quella di inaridire cuori e menti dei giovani.
Faranno causa comune, o ragioneranno isolati? E qualcuno si preoccuperà di illustrare loro difetti, colpe, strategie del mondo marcio di cui fanno già parte, coscienti o meno.
Resterà tutto fermo al “cosa hai sentito in quel maledetto istante?”. Potremmo fare di meglio, potremmo proporre, partecipare, potremmo essere più presenti a noi stessi e porci un ragionevole dubbio sul nostro senso dell’esistenza.
Perché siamo tutti coinvolti.
è IL CUORE FERITO DI UNA CITTà CHE NON RIESCE A RICUCIRE SE STESSO. E DA QUELL’INFERNALE SABATO UN’INQUIETUDINE CI PERVADE E le DOMANDe ” PERCHè?” E PERCHè I GIOVANI?” aleggiano irrisolte. colpire proditoriamente e vigliaccamente come mai prima era accaduto è stato un atto vandalico di chi non ha cultura né senso di civiltà.
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Carissima prof.sa, proprio da voi, protagonisti del mondo dell’educazione, deve rilanciarsi, con più coraggio, e in attesa anche di una risposta strutturale della politica, quell’azione di cultura e di senso di civiltà che viene meno. È il mio augurio più grande rispetto anche a quanto accaduto, ma soprattutto e più in generale rispetto al futuro della scuola pubblica.
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