I dati dell’associazione Accertamenti diffusione stampa, Ads, sono eloquenti: il quotidiano on line più letto a gennaio 2013 è stato Il Sole 24 ore, con più di 46mila copie vendute. Roberto Napoletano, direttore del quotidiano di Confindustria, ha analizzato il successo del giornale all’ateneo barese. In controtendenza perfino con il titolo dell’incontro, «Il giornalismo al tempo della crisi», sebbene questo fosse ispirato al libro «Promemoria italiano», raccolta dei memorandum domenicali del giornalista di La Spezia.
La discussione, a tratti davvero appassionata, non ha potuto certo fugare i dubbi sul futuro della stampa in Italia. E non sono poche le obiezioni accoglibili sulla possibilità reale che un quotidiano, finanziato dalla grande industria privata, possa restare sempre fedele alla visione classica del giornalismo come cane da guardia della democrazia.
Il Sole prosciuga la crisi. L’introduzione di Giuseppe De Tomaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, ha permesso a Napoletano di ricordare un periodo importante della sua carriera. La Gazzetta dell’allora direttore Lino Patruno lo ha chiamato a collaborare quando, nonostante le importanti inchieste realizzate per Il Mattino, si è ritrovato disoccupato. Una posizione che gli ha fatto imparare cosa significhi essere una specie di appestato, perché intorno a lui si è fatto il deserto. Da cui è uscito bluffando, perché apparire forte, nel suo caso, lo ha aiutato a convincersene e a indurre gli altri a pensarlo.
L’approdo al Sole gli ha fatto invece capire come un giornale può costruirsi un avvenire solido. In questo modo Napoletano ha compiuto uno slalom sull’argomento della crisi del giornalismo. «Contro la crisi – esclama perentorio -, occorre offrire informazione tecnica, specialistica e autorevole!». È l’elogio della specializzazione: cronisti e analisti che da trent’anni scrivono su argomenti specifici rappresentano una sicurezza in termini di affidabilità, e ciò ha permesso al quotidiano di rinnovarsi puntando sempre sul suo passato. «Questo è un fatto riscontrabile subito sul sito – spiega – perché nella correlazione degli articoli a un determinato fatto, è possibile ricostruirne la storia senza contorno, senza le chiacchiere». D’altronde, il faro intorno al quale si muove la sua esperienza lavorativa, è «l’ancoraggio fortissimo al giornalismo comparativo compilativo, quanto mai documentato, correndo anche il rischio di sbagliare, tornando allora a studiare e documentarsi».
«FATE PRESTO». Ha titolato così in apertura il Sole il 10 novembre 2011. Un titolo a caratteri cubitali insolito per il quotidiano economico. Preso in prestito dal celebre: «FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla», che il 23 novembre 1980 Roberto Ciuni del Mattino di Napoli titolava a tre giorni dal terremoto in Irpinia.
Cos’è successo? Gli analisti del quotidiano hanno riscontrato, sempre ancorati a quello che il direttore ha chiamato «semplice rigore algebrico», che i titoli di Stato a brevissima scadenza hanno cominciato a essere scambiati sul mercato secondario a un valore superiore di quelli a lungo termine. E che lo spread Btb-Bund è arrivato a 550 punti.
In parole semplici, la credibilità dello Stato italiano stava scomparendo in un grosso buco finanziario. Quindi la riflessione che ha portato a chiedere un governo tecnico con una credibilità internazionale e, poi, la pubblicazione del libro.
Perché il rischio corso è stato rimosso solo per il fatto che il governo Monti è riuscito a modificare le cose.
Contro la proverbiale memoria corta degli italiani, il memorandum:«Memorandum è un pro-memoria, per aiutare la buona memoria. Nessun paese ha un futuro se non conosce la propria storia».
La domanda. Il libro ripercorre la storia italiana, attraverso l’esempio e la testimonianza di «uomini di Stato e uomini del fare».
Essi rappresentano il lato luminoso di un’Italia produttiva e ne sono il faro che dovrebbe alimentare i valori da rimettere al centro per riprendere la buona strada. Alcuni nomi su tutti: Donato Menichella, Gabriele Pescatore, Giuseppe Di Vittorio, Angelo Costa, Ezio Vanoni. Erano i tempi della ricostruzione umana, civile e industriale del Paese, e l’Economist poteva scrivere della «lepre della Cassa del Mezzogiorno», che poteva fare del Sud quello che la Germania ha fatto poi con l’Est, dopo la riunificazione. Non è stato così.
Bisogna riprendere da dove è stato lasciato il discorso, ma con uno sguardo glocale sulle cose. Riprendere il discorso sulla cultura, sul lavoro, sulla cultura del lavoro e sull’indice di esportazione della cultura.
La chiusura del direttore è un tiro a effetto:«Sono solo “noccioline vergognose” gli sprechi della politica e i suoi costi, sui quali ci scagliamo con l’onda dell’antipolitica. Valutiamo invece l’esplosione della spesa pubblica italiana, senza che questo possa aver portato benefici». Napoletano si riferisce all’aumento in pochi anni di più del 50 per cento della tassazione regionale, che non è coincisa con una diminuzione delle tasse a livello centrale. Queste sono aumentate, anzi, del 30 per cento. Il risultato del pallottoliere segna una cifra impressionante: 150 miliardi di euro di tasse destinate alla spesa pubblica produttiva.
Dove sono andati a finire questi soldi? Prima che l’effetto della chiusura porti il pallone in curva, e dunque provando a centrare lo specchio della porta con una deviazione opportuna, si può girare la stessa domanda al quotidiano economico. Il Sole 24 ore monitora attentamente l’andamento dell’economia italiana, fungendo quasi da osservatorio privilegiato della spesa pubblica e privata, degli investimenti e della finanza.
Dunque, secondo la massima alla base del giornalismo: «follow the money!» sembra quasi obbligatorio chiedere dove è più opportuno volgere lo sguardo.
Contattato tre volte per email in sei giorni, il direttore ha risposto chiedendo di rinviare la risposta per via degli attuali «giorni duri», politicamente ed economicamente parlando. Riceverà altri promemoria.
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