Il 15 aprile 2011 è stato ucciso Vittorio «Vik» Arrigoni. Poco tempo fa, a marzo, ho incontrato sua madre, Egidia Beretta.
Il resoconto emozionale dell’intervista è stato pubblicato su Mediaterraneonews. Questo lo integra con un omaggio alla memoria di Vik e dei suoi sogni.
Le prime immagini di Vittorio Arrigoni che scorrono sul muro della Vallisa sono un pugno nello stomaco. Le ha portate sua madre, Egidia Beretta, insieme al suo libro, «Il viaggio di Vittorio», con il quale la sindaca di Bulciago (Lecco) sta girando l’Italia. I video raccontano della campagna militare israeliana contro i gazawi, palestinesi della Striscia di Gaza. Si tratta del mese di sangue tra il 2008 e il 2009, conosciuto come operazione «Piombo fuso», che ha provocato circa 600 morti, tutti tra i gazawi.
Il punto di vista del racconto è quello del pacifista impegnato, della sua esperienza diretta. Nel primo frammento «Vik» intervista alcuni contadini, ma una raffica di mitra interrompe la scena bucolica. Seguono immagini di bambini che arrancano tra le macerie e cadaveri ammassati. Poi il buio e il silenzio. Nell’auditorium tre cantanti intonano «A Muso Duro», di Pierangelo Bertoli. Poi parla Egidia.
Se non ci foste voi. Non è solo dell’esperienza di Vik come attivista dell’organizzazione non governativa International Solidarity Movement (Ism), che Egidia racconta, di fronte a una platea che l’ascolta commossa per tutto l’incontro. All’evento promosso da Kenda onlus sotto luci soffuse, avviene una vera e propria commemorazione laica. Per anni Egidia ha accolto le lettere e le telefonate di suo figlio, restando l’unica depositaria delle cose più raccapriccianti che subiva, che spesso non riportava neanche al resto della famiglia, per non destare preoccupazioni. Anche per questo, sul profilo di Facebook di Egidia potete leggere che vive a Gaza, perché è lì che il suo cuore è rimasto, a fianco a quello del figlio, che in quella terra ha battuto per gli ultimi istanti. «Sostenetemi voi-scrive una volta Vittorio-che siete la mia famiglia, se non ci foste voi, sarebbe come se mi mancasse un braccio, dovete proprio supportarmi!» Un appello insolito da un figlio che non dimostra con esuberanza l’amore che prova per i suoi cari. «Risponderò alle vostre mail alla fine, ci sono tante persone che vogliono un chiarimento, prima di voi», diceva non senza ironia ai suoi. Un amore profondo, però, come si legge anche nella lettera che invia a suo padre, ricoverato solo due mesi prima della morte di Vittorio, per un tumore che se lo porterà via a dicembre dello stesso anno. Una lettera che ogni padre vorrebbe ricevere, piena di rispetto e basata sulle divergenze, sul dialogo e sulla sintesi tra queste, l’esortazione a star bene e a pensare agli affetti.
Intervistata sull’aspetto familiare della vita di Vittorio, Egidia dona questo ricordo: «Avevamo la certezza di saperlo contento anche quando le sue scelte lo portavano a vivere situazioni difficili e rischiose e per me questa è la cosa più importante. Durante i primi campi di lavoro e durante il primo viaggio in Palestina non c’era questa grande ansia.»
El Guadalupe. Nel 1995 Vittorio ha vent’anni e le idee chiare: la sua prima esperienza di volontariato la fa sulle Ande. I ragazzini per cui svolge animazione e supporto logistico diventano quelli che lui definisce i suoi «ciondoli pesanti». Chi ascolta i poveri sa che non lasciano dormire. Diventando loro amico non puoi voltare le spalle e riprendere il cammino come nulla fosse accaduto. Per quei ragazzini, Vittorio resta «El Guadalupe», dall’omonimo calciatore della nazionale peruviana, cui somiglia per struttura fisica e per la faccia da gigante buono. Passano nove anni, Vik ha maturato molta esperienza e apre il blog Guerrilla Radio, che si prefigge di diventare uno strumento critico contro la disinformazione in particolare sulla Palestina. È subito tacciato di esagerare le cose e di antisemitismo.
L’anno nero di Vik. «L’ansia vera arriva per noi nel 2005 – continua Egidia nell’intervista per Mediterraneo News – quello che ho chiamato l’anno nero di Vittorio, quando è stato picchiato e ferito. Certo ha sofferto molto e con lui anche noi. Nel 2005 Vik viene fermato dalla polizia israeliana mentre tenta di attraversare il confine passando dalla Giordania. Non sa di essere stato inserito nella lista nera delle persone sgradite a Israele perché possibile testimone sulla violazione dei diritti umani alla Corte internazionale dell’Aia. Viene portato su un autobus e picchiato selvaggiamente nelle zone del corpo non visibili all’esterno e buttato per strada nella striscia di terra vicino alla frontiera giordana. L’autobus tenta anche di investirlo, ma l’intervento delle guardie di confine giordane impedisce la tragedia e salva la vita a Vittorio.»
«A Natale dello stesso anno viene fermato all’aeroporto di Tel Aviv, incarcerato e ferito ancora una volta. Nonostante questo, decide di ritornare in Palestina, nel 2008, arrivando nella Striscia di Gaza con le due imbarcazioni del Free Gaza Movement, che rompono l’embargo di Israele dopo mezzo secolo». «Stava spesso con i contadini e i pescatori proteggendoli, come scudo umano. È stato anche ferito alla schiena mentre era su un peschereccio: lì ci siamo molto reoccupati. Lui era di aiuto alle persone e anche se scemava l’entusiasmo, voleva camminare a lungo, raccontare popoli, culture. Una presenza umile, non si è mai attribuito meriti particolari neanche quando era l’unico a raccontare Piombo fuso».
Restiamo umani. Il giornalista Paolo Farina, che accompagna Egidia nella presentazione, racconta che il blog di Vik diventa il più letto in Italia all’inizio del 2009, e poi con i suoi reportage, Arrigoni è l’unico cronista presente sul territorio all’inizio della campagna Piombo fuso e si guadagna la notorietà. Pur prendendo con obiettività le parti del davide palestinese contro il golia israeliano, ha esaltato l’eroismo dei paramedici piuttosto che quello dei guerriglieri, e la volontà dei contadini e dei lavoratori che a Gaza si ostinano a credere alla normalità quotidiana e impediscono l’escalation della violenza e la disperazione. È questo il contesto in cui conia la formula di chiusura per ogni suo intervento con l’esortazione a «restare umani», che tutto quello che accade tra israeliani e palestinesi non può restare fuori dal concetto di dignità umana.
Egidia racconta che questa invocazione, così spesso ripetuta, a volte le sembrava non avere senso. Chiede a suo figlio come faccia ancora, a quel punto, immerso nel dolore e nei morti, a dire una cosa simile, a chiedere continuamente agli uomini di ricordarsi della loro umanità. Per i suoi reportage, oltre alla notorietà, Vik ottiene anche una taglia di 25mila dollari sulla sua testa, da parte di un sito filoisraeliano. Lui risponde, con ironia, dicendo ai gazawi di risparmiare i gettoni telefonici della chiamata. I suoi nemici sapevano bene dove avrebbero potuto trovarlo: sulle ambulanze di Gaza. Dalle quali spesso butta fuori i terroristi e i guerriglieri. Vik paga a caro prezzo la sua posizione, visto che gli assassini che lo rapiscono e uccidono il 15 aprile 2011 appartengono a un gruppo palestinese jihadista, di orientamento salafita. Qualcuno può semplificare dicendo che è stato ucciso dagli stessi che ha aiutato. Non è così. L’utopia di Vittorio è quella volontà di ricostruire sulle macerie dell’odio,volontà che lo accomuna ai gazawi, quelli degni del suo racconto. È l’utopia di Gaza, il suo insegnamento al mondo.
Niente trucchi da quattro soldi. Il corpo di Vittorio torna a casa poco prima di Pasqua. È per questo che il suo non può essere un vero e proprio funerale, ma una specie di festa. È da quel momento che gli occhi di Egidia si tingono di un immenso amore e al tempo stesso di un immenso dolore. Con quegli occhi chiude la nostra intervista: «La grandezza di Vittorio secondo me è stata quella di aprire il cuore agli ultimi e cominciare a capire le ragioni degli altri. Uno deve avere già nel cuore questa predisposizione alla solidarietà, alla pace per poter fare quello che Vittorio è riuscito a fare». «Non c’è coscienza senza conoscenza», dice poi a tutto il pubblico. «Vittorio lo affermava con decisione: niente trucchi da quattro soldi: quello che hai da dire dillo chiaro, dillo vero, dillo subito».
Questi sono anche i concetti alla base della fondazione «Vittorio Arrigoni-Vik Utopia Onlus», cui andranno i proventi del libro di Egidia, edito da Dalai. Egidia non può essere una testimone distaccata, la volontà di raccontare Vittorio è la continuazione della sua testimonianza. Operare con progetti concreti affinché i diritti umani siano affermati in Palestina non è solo perché per essi Vittorio ha dato la vita, serve forse a rendere concreta una volta di più l’esortazione a restare umani. Il saluto al pubblico passa per il testo di Mikis Theodorakis, «Quelli che stai vedendo», scelta che commuove i presentatori al punto da trasformarsi in una specie di impasse rotta dagli applausi e dall’affetto del pubblico.
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