È già passata l’università del futuro

 

Il governo Prodi bis, caduto dopo soli due anni, aveva raggiunto l’obiettivo di far approvare lo statuto degli studenti, anticamera dell’approvazione dell’agognata Legge sul diritto allo studio. Il racconto di uno splendido fallimento nell’intervista al sottosegretario al Miur Nando Dalla Chiesa lo potete leggere qui.

Grind House. Questo potrebbe essere il titolo dell’operazione “università del fu­turo” che viene delineandosi con il Berlu­sconi-quater. Come nel film di Quentin Tarantino, omaggio ai capannoni improvvisati che proietta­vano b-movies negli Usa dei 70’s: caos, sangue e carne di porco di certi punti fermi che abbiamo, leggi concetto di università, appunto, che diverrà davvero una roba di serie b.

Si possono fare due obiezioni a questa conside­razione: non c’è molta differenza con il passato, anzitutto, e poi i film del virtuoso del Tennessee sono pure belli.

A contestare la prima obiezione è dedicato que­sto approfondimento. Per quanto riguarda la se­conda, a parte il detto de gustibus eccetera, non si può obiettare: sarà molto bello soprattutto per chi ci guadagnerà su. E con la neoministra alla Pubblica istruzione, all’università ed alla ricerca scientifica (Mipiur la nuova sigla) Maristella Gel­mini, nipote dei controversi fratelli ecclesiastici Pierino ed Egidio, non è tanto difficile capire chi godrà della festa splatter.

Il giovane avvocato di Leno (Brescia) è apparsa inesperta ai più, ma non è così se si considera­no la sua vicinanza agli ambienti storicamente schierati per l’istruzione privata, e soprattutto la sua proposta di legge presentata in parlamento lo scorso 5 febbraio, che di fatto determinerà  il programma del Popolo delle libertà per il prossimo lustro.

Principio cardine del programma è la pie­na applicazione dell’autonomia scolastica e universitaria attraverso il rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari di presidi e rettori, la distribuzione di “voucher formati­vi”, cioè bonus alle famiglie da spendere nelle scuole pubbliche o private.

Se questo non bastasse, si prevedono la li­beralizzazione della professione di docente attraverso la convocazione da parte de­gli istituti (scuole e università) e la conseguente possibilità,per ogni istituto, di stipulare con i singoli docenti contrat­ti integrativi di tipo privatistico a compensare l’abolizionedi contratti a tempo indeterminato, ma rinnovabili ogni trien­nio a seguito di un test.

I fuoricorso pagheranno una sorta di morosità per il tempo che perdono e saranno introdotti i prestiti d’onore per i meri­tevoli. Il tutto nel contesto della privatizzazione di tutti gli isti­tuti pubblici di ricerca e la soppressione degli enti pubblici ina­deguati e nella “libera, graduale e progressiva trasformazione delle università in fondazioni associative, aperte ai contributi dei territori, della società civile e delle imprese” ed il rafforza­mento della competizione tra atenei.

Lo statuto degli studenti. Rimpianto o resistenza?

È troppo presto per valutare tutti gli effetti di tali proposte e soprattutto per discernere tra possibilità e fantasie. Quello che è certo è che gli studenti non vogliono tutto questo e che il Gelmini-pensiero contrasta con il lavoro svolto finora. A partire dall’approvazione dello Statuto degli universitari.

È dagli anni Ottanta, quelli della Pantera, che si cerca di racco­gliere l’eredità delle lotte studentesche cercando di organiz­zare dal basso quei diritti che l’articolo 34 della Costituzione sancisce come fondamentali. Dopo quasi trent’anni il dibattito è giudicato maturo dalle istituzioni: l’ex ministro Fabio Mussi prende atto della discussione in seno al Consiglio nazionale degli studenti (Cnsu) ed incarica il sottosegretario Nando dalla Chiesa di redigere lo statuto attenendosi alle proposte degli studenti. Nel giugno 2007 è tutto pronto per le sperimentazio­ni pilota, anche se il sottosegretario è molto criticato: “Spesso i rappresentanti non rappresentano veramente – commenta intervistato da L’imPaziente prima di analizzare lo statuto – se è vero che tutti gli studenti cui ho enunciato i contenuti dello statuto si sono sempre dichiarati soddisfatti”.

Federica Musetta, coordinatrice nazionale per l’Unione degli studenti universitari (Udu), sottolinea il ruolo importante as­sunto dalla sua associazione nel dibattito: “L’Udu si è sempre battuta per i diritti degli studenti, è comunque positivo che si cominci un percorso concreto. Ci aspettavamo l’approvazione per legge, ma il governo è caduto”. Alla luce delle elezioni po­litiche le critiche si ammorbidiscono in confronto alle vacche magre che arriveranno, “ma le divergenze maggiori -continua Federica, confermando quanto dichiara Dalla Chiesa- riguarda­vano soprattutto oneri economici che lo Stato ancora non ha il coraggio di assumere”.

Abbandonando la diplomazia la studentessa di Matematica a Pisa prosegue: “lo scenario non è idilliaco, stando ai pro­grammi. L’università dovrebbe essere impostata in modo diverso da quanto da noi previsto. Non condividiamo anzitut­to la competizione tra atenei/imprese e nemmeno la promessa assegnazione di un bonus per far scegliere alle fami­glie tra scuola pubblica e scuola privata quando sarebbe stato utile destinare quei fondi ad altro impiego. Le urgenze sono tante”.

Intanto ora c’è un testo composto di 58 articoli organizzato in 11 titoli dal qua­le partire per porre un freno, o quanto meno un controllo, alle riforme del nuovo governo. In teoria ogni matricola dovreb­be riceverne copia, staremo a vedere se ognuno ne farà uno strumento di resi­stenza o dovremo intenderlo come qual­cosa che poteva essere e non è stato”.

Laboratorio Puglia

Al termine del periodo di sperimentazione pilota, lo statuto è proposto agli atenei di ogni regione: dopo una prima fase di discus­sione anche l’Università del Salento adotta integralmente il testo.

Bastian contrari sempre di targa Udu. Fran­cesco Mignogna, coordinatore locale, ci spiega perché: “Siamo stati tra i primi ad adottare integralmente lo statuto, ma si può migliorare tanto la sezione che riguarda gli studenti lavoratori in quanto non è garantita la possibilità di se­guire lezioni on-line e dovrebbe essere più chiara quella sul carico didattico, ma nel nuovo regolamento di ateneo, di futura anche se non scontata adozione, tutto ciò dovrebbe essere appianato, anche grazie al risultato delle elezioni studentesche che ci hanno premiato, dandoci l’opportunità di spingere per queste riforme”.

Proprio la Puglia, colpita da scandali che sottolineano l’illegalità di certe pratiche cui ricorrono docenti e discenti, si è dimo­strata capace di inventarsi laboratorio di diritti, con l’approva­zione recente del Codice etico, che tu­telerà gli studenti dal palese nepotismo che ha portato il caso Bari sulla scrivania di Mussi. Proprio nel codice di compor­tamento approvato a Bari si sottolinea che la comunità universitaria riconosce il lavoro dei propri docenti, considerando la dignità, l’integrità e l’onore dei profes­sori come “patrimonio istituzionale, da salvaguardare e promuovere ispirandosi ai valori, universali per loro natura e fina­lità, custoditi nella Costituzione della Re­pubblica italiana e perseguiti anche nelle istituzioni comunitarie, europee ed inter­nazionali, con particolare riferimento alla promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e alla libertà dell’arte, della scienza e dell’inse­gnamento”.

Al di là delle pur essenziali dichiarazioni di principio, comunque, Mignogna ci ricorda la desolante situazione: “A livello regionale i fondi che dovrebbero garantire il diritto allo studio sono troppo pochi e male impiegati”.

Si naviga a vista, insomma, e certo non nelle condizioni ideali per affrontare una tempesta.

 

Andrea Aufieri, L’imPaziente n.19, maggio-giugno 2008

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