Cerano, il nerofumo delle responsabilità


Dalle indagini dell’Enel risulta che non c’è nessun nesso scientifico di causalità tra la presenza della Centrale “Federico II” a Cerano e l’inquinamento atmosferico presente a Torchiarolo.

La centrale Enel “Federico II” di Cerano (Br) – la prima in Italia per emissioni di anidride carbonica – copre oltre un terzo del totale nazionale e accosta, ai continui allarmi per un futuro nero, una storia di occasioni perdute: dal biomonitoraggio mancato, alla metanizzazione mai avvenuta, fino alla messa in sicurezza del carbonile con undici anni di ritardo! L’Arpa pubblica i dati che confermano l’aumento di tumori ai polmoni nel Grande Salento e, nelle aree interessate, comincia la conta dei morti. Enel si discolpa, ma promette grossi cambiamenti per il futuro mentre gli ambientalisti sospirano: “Chi promette mantenga”.

Non si sa per quanto tempo ancora il Salento dovrà sopportare gli sfregi continuamente rivolti al suo territorio e le tragiche conseguenze riservate ai suoi abitanti. La centrale Enel “Federico II” di Cerano è una ferita sanguinante ormai da venticinque anni.
L’ultimo colpo in ordine cronologico risale alla fi ne di maggio, con la pubblicazione di “Dirty Thirty”, la “sporca trentina”, il rapporto sulle trenta centrali più inquinanti d’Europa realizzato dal Wwf. Nell’ultima classifica, la “Federico II” occupa il posto numero 25, grazie ai 15,8 milioni di tonnellate annue di anidride carbonica (Co2) riversate nell’atmosfera, oltre un terzo dei veleni scaricati in tutta Italia.

Essa occupa una superficie di ben 270 ettari. Si compone di quattro sezioni per la produzione di energia elettrica, compresi un parco combustibili liquidi e uno per il carbone, evaporatori e impianti di trattamento delle acque reflue. Oltre ad un nastro trasportatore scoperto lungo 13 km in grado di trasportare 2000 tonnellate di combustibile dal porto di Costa Morena.

Questo l’identikit del megamostro che rappresenta la sconfi tta più cocente nella storia dell’ambientalismo pugliese. Qualcosa si è mosso ad aprile, quando il Registro tumori ionico-salentino ha pubblicato i dati relativi all’incidenza di neoplasie alle vie respiratorie, che vede un trio degli orrori capeggiato, con inattesa sorpresa, da Lecce (11,8%), seguita dalle scontate città di Brindisi (9,3%) e Taranto (8,3%).

Le province e i comuni di Brindisi e Lecce hanno convocato un tavolo tecnico pretendendo garanzie da Enel. Dal canto suo, l’azienda si dichiara attenta alla questione ambientale, come si legge in un comunicato del 2 maggio scorso: “La nostra azienda è impegnata a raggiungere standard ambientali e di effi cienza sempre migliori e confermare la nostra leadership nelle fonti rinnovabili. Nei prossimi 5 anni – continua il fi rmatario del comunicato, Franco Deramo – Enel svilupperà un grande programma di investimenti, per oltre 4 miliardi di euro, di cui una parte importante destinata allo sviluppo delle fonti rinnovabili”.

Tutto ciò non è bastato agli enti locali, se persino le dichiarazioni EPER/INES(European Pollutant Emission Register/Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti), per il biennio ‘03-’05 evidenziano numerosi sforamenti della soglia annua consentita in aria e in acqua.
Su tali dati ha lavorato l’ingegnere ambientale dell’Università della Basilicata Angelo Semerano per la sua ricerca “Il polo industriale di Brindisi”. Lo studio ha vinto il premio “Carlo De Carlo” come migliore tesi dell’area ambientale e su Cerano si legge: “Se guardiamo soprattutto i dati riferiti alla centrale (…), notiamo che le emissioni totali (di mercurio e arsenico) risultano superare i valori soglia fissati all’UE”(salutepubblica.org).

Tra i principali impegni fatti assumere al colosso dell’energia in seguito al tavolo tecnico, spiccano le riduzioni delle emissioni di zolfo (So2), di ossido d’azoto (NOx) e di polveri sottili. Più delicata la questione del Co2, visto che la promessa dell’Enel riguardava l’esigua riduzione del 10%, mentre i parametri regionali prevedono riduzioni fino al 25%. Brindisi e Lecce sono andate oltre, uniformandosi alle tabelle ministeriali e alle pressioni dell’UE che, in linea con il Protocollo di Kyoto, prevedono per Cerano una riduzione del 33%.

Una dura contrattazione che rischiava di mettere in secondo piano questioni molto importanti come la ricerca sulla cattura di Co2 e la costruzione di un molo combustibili nel porto esterno per la movimentazione degli stessi. Molto importante, come vedremo in seguito nel caso Torchiarolo, l’impegno di affidare ad una rete pubblica il monitoraggio delle emissioni, mentre qualcosa già si è fatto per la copertura del carbonile, finora lasciato esposto ai venti ed alla dispersione delle polveri.  Si intravede il sereno sui cieli di Cerano?

Le reazioni

Un quadretto a tinte fosche appena attenuato, questo il pensiero che riassume le reazioni di due storici rappresentanti di Legambiente, alla quale si deve la pubblicazione del prezioso dossier “Stop al carbone!”, che mette in fila i mostri carboniferi italiani.

Mario Fiorella, presidente della sezione leccese dell’associazione, è guardingo con pessimismo: “Ci sono ampi precedenti che dimostrano come l’Enel non rispetti gli impegni assunti: la Convenzione del ’96 prevedeva la metanizzazione e la chiusura della centrale Edipower di Brindisi nord e la graduale riconversione al metano della “Federico II”.

“Chi promette, mantenga – prosegue il magistrato – ma certo stavolta istituzioni e movimenti, questi ultimi mai considerati da Enel, sono vigili e forse la pressione servirà almeno a tenere in piedi l’attenzione al problema”.

Doretto Marinazzo, consigliere nazionale di Legambiente, è più categorico: “La copertura del carbonile, per come è andata, può sembrare una conquista, ma in realtà tutto ciò avviene con grande ritardo, essendo la questione in gioco sin dal 1996.

SO2 da 10.500 milioni di tonnellate annue a 8.500:
-19%;
NOx da 8.600 a 7.500
tonnellate annue: -13%;
polveri sottili da 1000 a 610
tonnellate annue: -39%
CO2 da 15,8 milioni di tonnellate
l’anno a 10, 59 – 33%

“Se poi si guarda a quanto scritto in quella famosa convenzione, non siamo proprio a posto. Ad oggi Enel nemmeno parla di metano. Questo è anche comprensibile, poiché tecnicamente la riconversione è difficile e costosa. Se ne deduce – spiega Marinazzo – che lo scopo reale dell’azienda nel ’96 era quello di ripartire e di sciogliere l’ordinanza sindacale che l’aveva bloccata.”.

Ancora più dura la Uil, che denuncia la decisione di Enel di basarsi sui dati del 2004, quando fi no al 2006 la produzione di energia è raddoppiata in ragione del consumo di carbone aumentato del triplo: fatti che non giustificano il licenziamento del 30% del personale diretto impiegato in centrale. Il territorio, secondo la Uil, non guadagna niente dalla presenza dell’azienda a Brindisi, perché Cerano è stata “ridotta ad una succursale di ditte esterne che si dividono gli appalti”.

Le risposte dell’Enel lasciano insoddisfatti soprattutto gli autori di alcuni dei numerosi studi che si sono susseguiti nel corso degli anni. È il caso delle analisi effettuate dalla Direzione qualità della vita del ministero dell’Ambiente e validate dall’Arpa, che hanno rilevato la presenza di pesticidi e metalli pesanti oltre i limiti consentiti nelle coltivazioni di ortaggi destinati alla vendita, nel sottosuolo e nella falda profonda del territorio compreso tra Brindisi e Cerano.

Franco Caiulo
è il coordinatore dell’associazione “Vittime del petrolchimico”: a partire dal 2000 ha raccolto le cartelle cliniche di 231 colleghi di lavoro deceduti per mali ascrivibili al loro impiego nel settore chimico di Brindisi.  Durante la sua ricerca ha avuto contatti anche con gli agricoltori della zona colpita dai fumi di Cerano: “Conosciamo i contadini che hanno terre da quelle parti e non possono coltivare piante dal fusto esile come piselli e pomodori, che si colorano di nero e non sono più buone. L’Enel porta i bambini in centrale per far vedere come sono lucidi i tubi e come funziona il processo di produzione, ma nessuno ha mai spiegato ai bambini come si anneriscono le foglie dei peschi e dei limoni”.

“Io – prosegue – ho portato quelle foglie ai giornali perché le vedessero: i contadini sono costretti a piantare barbabietole e carciofi , insomma piante dal gambo robusto, ma non so quanto queste siano buone. Eppure nessuno si muove, i contadini stessi non denunciano, anche perché quando si sapeva delle foglie annerite qualcuno faceva dei dispetti, come andare a bruciare o tagliare le piante contaminate”.

Tra gli studi effettuati sull’area sono importanti quelli eseguiti da Agenda21 nel 2003 e dal Comitato consultivo tecnico per il rispetto degli accordi della Convenzione del ’96. A entrambi ha partecipato l’oncologo Claudio Pagliara, che snocciola un lungo elenco derivante di suggerimenti indirizzato agli attori istituzionali.
“Stabilita l’emissione di sostanze nocive – esordisce il dottore – bisognava valutare l’entità dei loro effetti sulla salute. Per realizzare un calcolo realistico del rapporto tra costi e benefici del polo energetico brindisino, si suggerì di realizzare un registro mortalità-tumori. In relazione alla possibilità che tali inquinanti potessero combinarsi e produrre effetti sconosciuti si suggerì anche un biomonitoraggio”.

Quest’ultimo avrebbe riguardato anche il controllo della qualità dei combustibili utilizzati, rilevando anche il rischio di un’eventuale radioattività. Nessuna delle possibilità è mai stata valutata.

Molto noti gli studi epidemiologici svolti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), riguardanti anche i comuni di Carovigno, S. Pietro Vernotico e Torchiarolo, nel quinquennio 1990-1994. Gli Standardized mortality ratio (Smr), rapporti decessi osservati /decessi attesi rispetto al trend pugliese, registrava preoccupanti eccedenze nella mortalità generale (+7%) e nella mortalità per cause tumorali (+13,6%).
Si notò come i dati risultassero sproporzionati per gli uomini,  maggiormente impiegati nel polo energetico e chimico brindisino.

Uno dei fattori fondamentali della salvaguardia ambientale è la prevenzione, che non va di pari passo con il progresso scientifico, necessitando di tempi più lunghi per confermare o ridimensionare la percezione del rischio avvertita dalla popolazione. Ciò di cui più si avverte la mancanza nell’area brindisina è l’esistenza di studi integrati, completi e indipendenti.

Il caso Torchiarolo
“Abbiamo conosciuto la gente di Torchiarolo: un paese castigato dai tumori”: la constatazione di Franco Caiulo introduce un aspetto recente delle tematiche connesse al problema Cerano.

La vicenda assume contorni vaghi, assumendo toni nerofumo se parliamo di responsabilità: un paese è ammalato e la colpa non è di nessuno. Per fortuna un gruppo di ragazzi ha deciso di denunciare questa situazione, giocandosi la carta del movimento, nella speranza che l’unione possa fare la forza. Giovanni Lettera, Vincenzo De Rinaldis e Giuseppe Perruccio stanno lavorando alla realizzazione di un comitato “No Coke”, contro il carbone, appunto, sulla falsariga dei successi ottenuti dall’omonima rete laziale. I rilevamenti dell’Agenzia per la protezione ambientale (Arpa) effettuati tra dicembre e febbraio scorsi rilevavano un aumento del pm10 e del monossido di carbonio nelle aree a sud di Brindisi, “evidente conseguenza delle attività degli impianti” brindisini.

L’Enel si è affrettata a smentire questa correlazione dimostrando di aver rispettato l’ambiente avvalendosi dei dati del monitoraggio effettuato dal Centro elettrotecnico sperimentale italiano (Cesi) di Milano.

L’inquinamento sarebbe dovuto ad una non meglio identifi cata “altra natura”, come si legge nel comunicato diramato il 18 maggio. La prima azione dei ragazzi del “No Coke” è stata quella di andare a controllare sul sito del Cesi chi fossero i soci azionari.

Sorpresa: gli azionisti di maggioranza dell’istituto di rilevamento sono Enel e Terna, produttore e distributore della rete elettrica nazionale. Tra i soci minoritari figura anche Edipower. Resta ancora il dubbio se dar retta al monitoraggio istituzionale o a quello indipendente.

STUDIO DELL’OMS

Per i dati dello studio OMS si ringrazia il prof. Emilio Gianicolo, Medicina Democratica, per averci fornito in anteprima il numero della rivista online SalutePubblica  (www.salutepubblica.org)

“L’eccesso delle malattie tumorali è spiegato in parte dal tumore polmonare (+18,8%). Si registrano valori in eccesso per il gruppo di cause del sistema linfoemopoietico”.  Questi tumori del sangue si presentano globalmente in eccesso statisticamente significativo: +32,8%, al loro interno i linfomi non Hodgkin in eccesso dell’84,6% mentre le leucemie mostrano un eccesso non significativo statisticamente del 30,7%. Quote percentuali in ordine decrescente *

*I dati sono aggiornati al mese di Maggio 2007

Il CESI è composto da:
ENEL S.p.A.
TERNA S.p.A.
Ansaldo Trasmissione & Distribuzione S.p.A.
Edipower S.p.A
ABB S.p.A
Endesa Italia S.p.A.
Siemens S.p.A.
Prysmian Cavi e Sistemi Energia S.r.l.
Nuova Magrini Galileo S.p.A.
Tirreno Power S.p.A.
SOGIN S.p.A.
AEM S.p.A. – Az. Energetica Municipale – MI
Edison S.p.A.
Bticino S.p.A.
Iride Energia S.p.A.
ITALCEMENTI S.p.A.
Passoni e Villa S.p.A.
Areva T&D S.p.A.
Seves S.p.A.
O-I Manufacturing Italy S.p.A.
IMQ S.p.A.

Andrea Aufieri, L’impaziente n.15 giugno/luglio 2007

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