Sì, ammettilo. Una sera ti sei accorto che Bari in fondo ti è piaciuta. Lascia perdere che adesso a Lecce stai recuperando il tempo perduto e che quella è casa tua, ovunque tu sia. Certe cose capitano all’improvviso.
E quando capitano, deleghi sempre la faccenda alle mani. Scorrere con la levità di una carezza il dorso di una panchina sul lungomare Nazario Sauro in una notte deserta d’estate. Lo stesso gesto che d’istinto hai fatto per tutti i cinque piani del corrimano di quella redazione milanese. Era quasi un addio e hai stretto con forza, come chi sa di aver perso una donna prima di averla un’ultima volta.
Al termine della scalinata pensavi di avere le mani sporche di polvere e invece no. E così con le schegge nodose di quella panchina. Una parte di te passeggia ancora lì di notte, pipa accesa e pensieri fumanti.
Con la bocca provavi a formare nuvole di progetti futuri, ma il vento ti sembrava li portasse via. Non era così. Diceva la sua, li modificava, li estendeva, ci scherzava forte. Un po’ permaloso, tiravi su lo scaldacollo e squadravi muto l’oscurità. Forse un ubriaco ti veniva incontro, forse una coppia rideva della tua solitudine.
Al tuo passo, dall’accademia di aeronautica a piazza Umberto I ci sta tutta “…And Justice for All” e la Bari notturna incide sui tuoi reni: una questione di fissità delle cose, di forza del vento, di ars vivendi e di qualcosa di mostruoso alla coda dell’occhio destro di molte persone. Buste e altri rifiuti orchestrano danze macabre al ritmo della tramontana notturna su via Sparano. Provi a seguirle e già le hai perse. Perché le persone giuste erano in fondo al vicolo. Emanavano una luce che non riuscivi a vedere. Eri troppo impegnato a sfregare sulle polarità del tuo contatore. Con le mani.
*Foto di Andrea Aufieri, Bari – Zona Portuale. Licenza Creative Commons Attribuzione – Non opere derivate – Non commerciale 3.0
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