Julielle, o del dualismo della creatività

Giulia Migliore, in arte Julielle, leccese classe 1994, sta compiendo un viaggio artistico e personale di grande profondità ed è bene restare aggiornati. L’ha capito la BMG, che l’ha voluta come autrice nel suo team.

Quando Salento Review sarà in edicola, sarà uscito anche il nuovo singolo, Double hour, possibile manifesto del dualismo che anima la sua creatività. Un lavoro perfezionato durante il lockdown, tra le sessioni alla tastiera e le sedute di reiki, la pratica giapponese della sintesi delle dualità: «Il periodo di quarantena non è stato un meteorite, per le mie abitudini. Mi preoccupava di più il lato artistico, perché avevo paura di non riuscire a scrivere nulla. Invece in poche settimane ho abbozzato il nuovo lavoro, che sarà un altro ep, o forse proprio un album intero, che comprenderà anche i brani di (a)Cross. E Double hour si può definire tutto un mio trip sulla “doppia ora”,  quando le lancette si sfiorano per una volta ogni sessanta minuti, ma non si toccano. È la prima canzone che ho scritto pensando a qualcuno. Forse vuol dire questo scendere a patti con sé stessi e capire che le parole, dopotutto, possono essere reali, come le persone a cui vorresti dirle (forse)».  

(a)Cross è stato prodotto da La Rivolta Records di Paolo Del Vitto. Un incontro avvenuto «per caso, non sono mai stata brava a promuovere me stessa. Non sono molto eccentrica, non sono mai stata la bambina che cantava usando la spazzola e saltellando allo specchio. La mia voce ha lottato contro di me per uscire. Da quando ho conosciuto Rivolta è diventato tutto reale, la mia vita è cambiata, mi ha dato la libertà di poter pensare alla musica come un lavoro. Mi ha aiutato a capire cosa significa avere dedizione e obiettivi. Non è facile lavorare con me, ho un caratteraccio, ed è bello avere qualcuno su cui contare sempre».

Già, l’amore per la musica: «Da piccola sentivo l’esigenza di suonare e quando avevo 8 anni ho cominciato a prendere lezioni.  Adesso, quando scrivo e compongo, lo faccio senza una vera coscienza, so che devo mettere “rec” sullo smartphone, vado alla tastiera e viene fuori un brano. Quando mi convince posso passarlo a Lorenzo Nadalini (GodBlessComputers), che produce le canzoni sorprendendomi sempre per la pazienza, la professionalità, la genialità nei suoi tocchi minimal. E anche con gli Inude proseguiremo la collaborazione perché sono persone adorabili e artisti notevoli».

C’erano i rave clandestini degli anni duemiladieci tra Lecce e Bari – «le nostre Woodstock»  – e ci sono gli ascolti che la emozionano: «Soprattutto Christian Lӧffler, della scena elettronica tedesca, perché tutto quello che compone si congiunge perfettamente ad ogni mio stato emotivo. Nella scena italiana ho scoperto di recente Vipra (Giovanni Cerrati) ex voce dei Sxrrxwland. Grazie a lui, per la prima volta, non ho fatto alcuna fatica ad ascoltare e ad amare un genere che prima non consideravo molto. Se Lӧffler riesce a descrivere la mia emotività, Vipra dà voce alle mie giornate con semplicità, naturalezza e dolcezza nell’uso dell’italiano come nessuno ha mai fatto».

In (a)Cross tutto si traduce in una specie di nuvola lisergica elettropop, onirica ed eterea. Julielle descrive l’intero lavoro come un’esperienza di sacralità laica: «Non sono credente, ma sono molto affascinata dal e da ciò che è sacro, in particolare nel cristianesimo, dove convivono spiritualità e carnalità. Il senso dell’ep e della mia esperienza finora è che la musica sia croce e delizia. Posso dire che essa mi attraversa, ma non mi appartiene. È quello che Jacques Lacan ha espresso in uno dei più bei concetti al mondo, definendo la parola “jouissance”, che potremmo tradurre con “godimento”. Secondo questo concetto, chi può dirsi davvero padrone del proprio corpo e delle proprie emozioni? Un altro concetto per cui ho scelto di chiamare (a)Cross questo lavoro è perché sono legata, in senso laico, al simbolo della croce».

(a)Cross è un ciclo che va dal senso di vittoria a quello di resa, non senza speranza. Julielle lo racconta così: «In (a)Cross, ogni traccia ha i suoi colori e le sue immagini. Toys è stata tradotta da una poesia che dedicai ai miei genitori, è il mio canto di liberazione dopo una lotta con me stessa, cantando “I shot the sheriff, he stole my toys” io sono sia lo sceriffo che la bambina con i suoi giocattoli. Voices credo sia la più straziante,  ma vale lo stesso senso di lotta con la mia parte più autodistruttiva. Ether è una ninnananna, l’ho scritta quando una mia amica mi disse di aspettare un figlio. Mi sono chiesta cosa potessi dire a un bambino per dargli il benvenuto in questo mondo così arido, complesso e cattivo. Ho risposto con l’immagine dei serpenti, di cui ho paura e che sono sempre stati presenti in tutto ciò che scrivo, “but look those eyes, they don’t look so bad” guarda quegli occhi, non sembrano, poi, così cattivi. Bisogna sempre cercare di vedere la bellezza nelle cose, anche nelle paure.  Survivors è un inno alla forza e alla fiducia. Aliens&Flowers per me è una fotografia di un letto al mattino, e la notte la fotografia è completamente diversa, “sing me to sleep tonight”e “I see flowers in your eyes, I see aliens in my bed” è la presenza assente e l’assenza presente di qualcuno che forse non ho mai amato, ancora. Mi piace scrivere le canzoni come lettere mai spedite a qualcuno che immagino solamente».

Tra (a)Cross e Double hour cos’è accaduto? «Ho collaborato come autrice con grandi professionisti, come Dani Faiv e Jake La Furia, insieme ad Andrea Simoniello (Kanesh), un mio caro amico, e ne sono molto felice, perché la scena rap italiana mi ha sempre appassionata. In uno dei miei momenti più intensi, l’apertura al concerto degli Editors e dei Cigarettes After Sex, al Medimex 2019 di Taranto, oltre all’adrenalina e alle endorfine che mi dà ogni concerto, credo di aver trasmesso la passione per quello che faccio anche ai miei parenti più cari. E ho capito soprattutto cosa non mi piace: dire no alle esperienze».

* Pubblicato su Salento Review, estate 2020

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