La retorica cattolica della sofferenza e l’eutanasia come atto di pietà

Scherzando o no, spesso si nomina Jorge Bergoglio – papa Francesco – come possibile leader o ideologo della resurrezione della sinistra italiana, o in generale come un possibile attore politico.

Di certo hanno contribuito le sue condivisibili posizioni sui migranti e sull’ambiente. E sia beninteso che non si criticano qui le sue decisioni circa l’amministrazione del Vaticano e altre iniziative tese a rendere le cose più trasparenti.

Non è un caso se c’è grande attesa per la sua prossima enciclica, “Fratelli Tutti”, sebbene lo scrittore Giuseppe Genna abbia fornito uno spunto di riflessione importante: riuscirà il papa a segnare un punto sull’aspetto spirituale e della fede e non solo nel campo dei diritti umani? Insomma, riuscirà a fare quello per cui esiste e persiste la sua figura? E pensare che più di un vaticanista nostrano taccia Bergoglio di essere troppo spirituale.

In attesa di scoprirlo, dobbiamo annotare l’ennesimo punto basso raggiunto dall’ideologia e dalla dottrina cattolica nel danneggiare la vita delle persone.

Non basta la solita invadente presenza sotto le nostre lenzuola, come testimonia il battage di Avvenire (altro giornale apprezzatissimo a sinistra) contro la legge sull’omotransfobia; non bastano le terribili parole di un anno fa del papa sull’aborto; non basta la volontà di distruzione del sistema scolastico, con lo spostamento dell’asse sulle “scuole paritarie”, altro tema onnipresente sul giornale della Conferenza episcopale.

A centocinquant’anni dalla Breccia di Porta Pia l’Italia non si è ancora liberata dal «giogo pretesco», come fa giustamente notare Piergiorgio Odifreddi sulle colonne di Domani, citando a sua volta Benedetto Croce.

Il giogo pretesco del 2020 è quello di fornire uno strumento ideologico che giustifica obiezioni di coscienza e il peggioramento della qualità della vita per milioni di persone, sancendo l’ennesima divisione tra ricchi e poveri riguardo all’eutanasia.

Il Vaticano compie così l’ennesima prevaricazione alla libertà degli individui, danneggiandone la comunità e pubblicando la cosiddetta lettera del Samaritanus bonus di martedì 22 settembre.

Il tema principale della lettera può essere riconosciuto nella parola “sofferenza”, che compare nel testo ben 39 volte. Non c’è una sola occasione in cui la parola sia usata in termini realistici. Lasciare il malato in uno stato acuto di sofferenza, soprattutto nelle fasi terminali della vita, è il più grande segno della mancanza di compassione tra umani.

Per la Congregazione per la Dottrina della fede la sofferenza è la chiave di volta della fede cattolica. Sembra il paradosso di madre Teresa contro il quale si è battuto per anni il giornalista inglese Christopher Hitchens, alfiere dell’ateismo contro ogni aspetto umiliante delle credenze religiose, in un’inchiesta molto lucida dal titolo dissacrante (“La posizione della missionaria”).

Il grande insegnamento della sofferenza, il “dono” del dolore, è impartito quasi sempre da chi sta bene a chi sta peggio. La questione di fondo è la stessa: si lascia soffrire chi non ha altra scelta. In genere, i più poveri.

In Italia ciò accade perché si impedisce al legislatore di fare il suo dovere, nell’ottica della pietà e non in quella della sublimazione della sofferenza.

A provare a mettere un freno a questo orgasmo per Comunione e Liberazione (organizzazione fin troppo presente nei nostri ospedali) esiste il gruppo d’interesse dell’associazione “Luca Coscioni”, rappresentata da Marco Cappato, che ha saputo rispondere agli aspetti più inquietanti della lettera, non quelli ideologici e di propaganda, ma quelli in cui il Vaticano tenta di invadere la Camera.

“Con le loro parole, la Congregazione e il papa, favoriscono l’aggravarsi delle azioni -quelle sì criminali- che sono concretamente perpetrate ai danni di malati terminali costretti a scegliere tra la violenza di una condizione di sofferenza nella quale non vorrebbero vivere e i rischi dell’eutanasia clandestina”.

Al buon senso e alla laicità dello stato non sembra credere il ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha nominato l’arcivescovo Vincenzo Paglia a presiedere la “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana”. «Un obbrobrio» secondo Paolo Flores d’Arcais su Micromega.

*La foto della Pietà di Michelangelo è di Grant Whitty su Unsplash

L’articolo è un mio editoriale sulla rivista di divulgazione scientifica Sinapsimag.it.

Il Patto Ue sull’immigrazione

Per qualche giorno, dopo il discorso sullo stato dell’Unione da parte di Ursula von der Leyen, abbiamo sperato davvero che le cose cambiassero.

L’Unione Europea, invece, delude ancora una volta sulla governance delle politiche migratorie.

Eppure, a differenza di molti demagoghi italiani, la questione è stata ben compresa e analizzata. Consideriamo le parole di Ylva Johansson, commissaria agli Affari Interni: «La migrazione è sempre stata e sempre sarà parte delle nostre società. Quello che proponiamo è una politica a lungo termine che possa tradurre i valori europei in una gestione pratica. Questo significherà una migrazione europea chiara e giusta».

Alla faccia di chi blatera di invasioni e di emergenze, insomma. Le novità, però, finiscono qui. Perché di fatto le trecento pagine del nuovo Patto sulla migrazione non risolvono molto, rivolgendosi soprattutto ai salvataggi in mare, cioè al 20 per cento degli arrivi di migranti, dato che il restante 80 per cento arriva sulle nostre coste in modo autonomo.

Resta preponderante il ruolo del paese “di primo approdo”, come sancito dal Regolamento di Dublino. Il nocciolo del problema non è sciolto, ma corretto senza obbligatorietà particolari per gli stati membri, che di conseguenza continueranno a fare quello che meglio credono.

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