Il Patto Ue sull’immigrazione

Per qualche giorno, dopo il discorso sullo stato dell’Unione da parte di Ursula von der Leyen, abbiamo sperato davvero che le cose cambiassero.

L’Unione Europea, invece, delude ancora una volta sulla governance delle politiche migratorie.

Eppure, a differenza di molti demagoghi italiani, la questione è stata ben compresa e analizzata. Consideriamo le parole di Ylva Johansson, commissaria agli Affari Interni: «La migrazione è sempre stata e sempre sarà parte delle nostre società. Quello che proponiamo è una politica a lungo termine che possa tradurre i valori europei in una gestione pratica. Questo significherà una migrazione europea chiara e giusta».

Alla faccia di chi blatera di invasioni e di emergenze, insomma. Le novità, però, finiscono qui. Perché di fatto le trecento pagine del nuovo Patto sulla migrazione non risolvono molto, rivolgendosi soprattutto ai salvataggi in mare, cioè al 20 per cento degli arrivi di migranti, dato che il restante 80 per cento arriva sulle nostre coste in modo autonomo.

Resta preponderante il ruolo del paese “di primo approdo”, come sancito dal Regolamento di Dublino. Il nocciolo del problema non è sciolto, ma corretto senza obbligatorietà particolari per gli stati membri, che di conseguenza continueranno a fare quello che meglio credono.

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