
Di Andrea Aufieri, Un punto di vista
Internazionale di questa settimana (il numero 933) usciva proprio con l’infuriare della polemica sulla particolare “Omissione di soccorso all’italiana” denunciata da Jan Fleischhauer sullo Spiegel (qui la tempestiva traduzione del Fatto Quotidiano) e dunque non poteva darne conto. Ma forse non è un caso se a pagina 24 si legge un’analisi brillante di Brigit Schönau, collaboratrice alla Zeit, tradotta da Floriana Pagano con il titolo “Rilassatevi tedeschi!”:
In Germania il nazionalismo si è sempre definito in rapporto all’Italia. La vittoria di un’armata germanica nella foresta di Teutoburgo, nel 9 dC, è stato un momento importante per la costruzione del patriottismo tedesco. Per molto tempo essere tedeschi ha significato soprattutto non essere italiani.
L’articolo termina poi in maniera molto intelligente, a differenza di quello dello Spiegel, che anzi dà il via a una serie di grossi errori, tedeschi quanto italiani. Va bene il patriottismo, gli italiani sono abituati alle copertine con il revolver sugli spaghetti, d’altronde la strage di Duisburg non l’ha compiuta un bavarese ubriaco.
Poi entra in gioco il razzismo, cui come in una gara tra petomani, Alessandro Sallusti propone l’impari confronto Schettino-Auschwitz.
Tutto questo sarebbe discutibile ma tutto sommato accettabile se restasse nell’ambito di una mera retorica, campanilistica sia che avvenga nelle risaie padane che in qualche campo di crauti del suolo tedesco. Sì, insomma, se si facesse finta di non essere in un mercato globalizzato, se si fosse nel 9 dC.
Ma quello che sembra più grave, nel botta e risposta che coinvolge anche l’ambasciatore italiano in Germania Michele Valenisse, è un’opera di così bassa macelleria che neanche il dottor Frankenstein avrebbe potuto concepirla: la risurrezione del mito della razza.
Dalle parole scritte sui giornali in questione fino ai commenti di chi le ha fatte girare per il web, e ovviamente nella sciatta televisione, si è parlato di razza tedesca e di razza italiana. Incredibile a sentirsi, ma nulla si è fatto per mettere agli atti un dato di fatto che ha faticato moltissimo a imporsi nella seconda metà del Novecento, perché scomodissimo, ma vero: non ci sono fondamenti biologici che giustifichino la discussione sulle razze per quanto concerne la specie umana.
C’è un libro alla portata di tutti che affronta con chiarezza la questione: “Sono razzista, ma sto cercando di smettere” (Laterza, 2010), di Guido Babujani e Pietro Cheli. Nell’introduzione si legge che questo libro è stato scritto, in seguito alle relazioni degli autori al Festival della mente di Sarzana, perché a scapito dell’inesistenza delle razze c’è in Italia troppo razzismo. Un ismo, una sequela di pensieri e azioni basata su qualcosa che non esiste.
L’opera è davvero interessante: percorre la storia dell’idea della razza, le sue tesi, le sue antitesi, che corrono parallele tanto al concetto di dignità quanto alla mancanza di elementi probatori, e infine la sua confutazione scientifica e antropologica. Si passa anche tra le misteriose e differenti razze impiegate dal Federal Bureau of Investigation (Fbi) statunitense e quelle completamente diverse impiegate dalla polizia inglese a Scotland Yard, ultimi feticci dell’impiego della parola per qualcosa di concreto. Con un capitolo molto divertente dedicato anche agli specchi scivolosi del parlare politicamente corretto.
E va bene, un libro è un libro, e siccome di sicuro leghisti, Sallusti e tedeschi non l’hanno letto, forse qualche indizio gratuito può darlo internet: va malissimo se si tenta un approccio sui dizionari on line più anonimi: la definizione sembra a volte copiata pari pari dalle riviste di Telesio Interlandi.
Va molto meglio se dal motore di ricerca si approda alle prime voci, prese da Wikipedia:
Col termine razza, di uso zootecnico e non zoologico, se riferito ai viventi, si intende un gruppo animale (nella fattispecie quindi di animali domestici) appartenente ad una medesima specie, caratterizzato per la presenza di caratteristiche ereditarie comuni che, in modo più o meno marcato, li identificano come un sottoinsieme della specie differenziato da eventuali altri gruppi cospecifici. È un termine tecnico esclusivamente nella zootecnica, mentre in senso colloquiale viene variamente usato per indicare un raggruppamento di qualsiasi sorta.
Gli accorti autori italiani di Wikipedia affrontano così anche l’infondatezza del termine su basi biologiche e l’uso non scientifico e strumentalizzato che ne deriva.
Non è lo stesso idillio, ma quasi, che si legge sull’enciclopedia libera tedesca, che rende meno marcati i confini attribuiti alla parola dai colleghi italiani e…dalla comunità scientifica internazionale.
Tutto sommato la commedia italiana ha sempre un unico problema: a far clamore è Il Giornale e non una bella pagina di Wikipedia. Con le dovute proporzioni ha ragione chi dice che Schettino non è la maggioranza del paese, che sul Costa Concordia c’erano quelli che sono tornati indietro o sono rimasti e si sono sacrificati.
Ma chi è stato messo al comando della nave? E chi ha governato il paese togliendogli ogni briciola di credibilità rimastagli? Insomma, come sceglie la sua classe dirigente questo paese? Forse trovando equilibri contorti, trattando le fucine della cultura come le università alla stregua di kindergarten e lasciando sfumare talenti nei call center. E perdendo le rivoluzioni, come quella non indifferente sulla cancellazione dell’idea di razza, proprio nei dettagli.