Nando Dalla Chiesa, sottosegretario al Miur per La Margherita nella XV legislatura, ci racconta il lavoro intenso per il disegno di legge sul diritto allo studio vanificato dalla caduta del governo Prodi e dall’avvento di Berlusconi, come racconto qui. Forte rammarico per gli studenti, ma non manca il monito a tenere viva l’attenzione. Ripartendo proprio dallo statuto e dai concetti chiave “comunità”, “didattica” e dicotomia “diritti/doveri”.
Onorevole, quale valore assegna allo statuto dei diritti e dei doveri degli studenti?
Lo valuto con grande considerazione perché ritengo giusto affermare un “diritto di cittadinanza” degli studenti nell’università. È una costituzione per gli studenti, i destinatari del sistema universitario.
Mi sembra interessante rendere una domanda il primo enunciato dello Statuto: “l’università è una comunità umana” prima e “scientifica, di insegnamento e di ricerca” poi?

Non credo che l’università di oggi esprima esattamente quei concetti: anzitutto non è considerata una comunità umana, e questo indebolisce la responsabilità dei docenti verso gli studenti. L’università non è solo l’anticamera dei concorsi, eppure ha di fatto espulso gli studenti: non c’è attenzione al processo di trasmissione del sapere. La qualità di un ateneo deve dipendere anche dalla didattica. È d’obbligo sottolineare la centralità dei rapporti tra gli attori di questa comunità.
Lo statuto rappresentava l’antipasto per la bramata Legge sul diritto allo studio: quanto tempo mancava per il suo avvento?
Uno governa sperando di avere qualche anno a disposizione. Lo statuto era stato presentato a giugno alle Università per la sperimentazione, tra luglio e novembre è stata concordata con le Regioni la fondamentale Legge sul diritto allo studio, compreso il tavolo tecnico. A gennaio questa legge doveva essere approvata, ma il governo è caduto. Avevamo pensato anche all’iter successivo, coinvolgendo l’Agenzia nazionale di valutazione che avrebbe inserito tra i criteri di disamina degli atenei quello del rispetto dello statuto. In un anno questo lavoro si sarebbe completato con coerenza.
Lo statuto resterà un rimpianto?
Intanto lo abbiamo proposto e gli atenei lo hanno assunto, dunque si potrà partire da lì. Non ci può essere un decreto attuativo perché bisogna passare da una legge in parlamento, e questo significa massacrarne il contenuto, anche se adesso ci sono meno partiti.
Bisogna tenere alta l’attenzione, dunque. Anche in Puglia, dove il diritto allo studio raccoglie in sé l’istanza di tutela della legalità?
Il baronaggio e il nepotismo sono forti nelle università poco aperte. Alcune regole aiuterebbero: nessuno dovrebbe insegnare dove esercita già un suo parente, è così anche per magistrati e carabinieri. Si tratta di tutelare la credibilità della funzione pubblica.
Andrea Aufieri, L’imPaziente n.18, maggio-giugno 2008.
Il tuo punto di vista